Nota biografica di Maria Pia Socin
Tullia Socin è nata a Bolzano il 7 gennaio 1907 da famiglia proveniente dalla valle di Non nel vicino Trentino, insediata a Bolzano fin dal 1870 con la fabbrica di fisarmoniche e strumenti musicali “Fidel Socin” .
Il fondatore dell’attività Fedele Socin, nonno paterno della pittrice, conobbe i pittori sudtirolesi Stolz (Ignaz padre, Ignaz figlio e Albert), i quali avevano bottega nei pressi della sua prima residenza in Via della Roggia a Bolzano. Alla consuetudine istauratasi fra loro si deve il ritratto del medesimo Fedele Socin dal titolo “KLAVIERFABRIKANT” (Il costruttore di pianoforti), eseguito da Albert Stolz ventenne verso il 1895, tuttora in possesso dell’erede della famiglia, prof. Maria Pia Socin, autrice della presente nota biografica.
Fin dalla sua infanzia, dunque, Tullia Socin ebbe davanti agli occhi quel ritratto, entrato -per così dire- a far parte della sua vita, coniugando in un’unica sintesi sia le ragioni affettive che quelle più intime e nascoste, motivate da un istinto, che l’avrebbe portata verso il suo destino di artista.
Tullia Socin ha frequentato la scuola elementare presso le suore dell’istituto “Santa Maria” di Bolzano. Negli anni seguenti la fine del primo conflitto mondiale (1914 – 1918) ha concluso il corso di studi usuale per una donna del tempo presso l’educandato “Notre Dame de Sion” nella sua sede di Trento, conseguendo -nel 1924- il diploma di lingua e letteratura francese all’Università di Grenoble.
Nel corso di quegli anni Tullia Socin andò anche definendo e riconoscendo in sè con consapevolezza sempre più lucida e determinata la sua sete di atmosfere luminose e il suo naturale istinto verso il linguaggio del segno grafico: in una parola, verso la sua vocazione alla pittura. Affacciandosi agli anni della sua prima giovinezza, Tullia Socin sentì, però, altrettanto chiaramente che, per dare concretezza a quanto di inespresso le urgeva dentro, le era necessaria una severa preparazione, la quale andasse molto al di là di quanto -in materia- avessero potuto fornirle gli studi precedenti, circoscritti, com’erano stati, alla sfera
dell’educandato femminile dell’epoca -ben lontani, quindi, dal consentirle l’esercizio di quella irrinunciabile libertà culturale, artistica e professionale, che, oggi, si apre come ovvia per tutto l’universo femminile.
Fu, quindi, non senza qualche perplessità da parte della famiglia, che,nel 1925, Tullia Socin decise di iscriversi alla Regia Accademia di Belle Arti di Venezia, dove -previo conseguimento del prescritto diploma di maturità artistica in soli due anni- frequentò per quattro anni il corso superiore di pittura tenuto dal Maestro contemporaneo Virgilio Guidi e conseguì la relativa licenza di pittore accademico nel 1932. Durante gli anni di studio veneziani Tullia Socin godette della stima e dell’incoraggiamento incondizionato sia del Maestro Virgilio Guidi che del Maestro scultore presso la medesima Accademia Vincenzo Bellotto, di cui dipinse un ritratto (il primo della sua attività) ora facente parte della collezione Socin.
Al periodo veneziano di studi seguono per l’artista ulteriori esperienze di formazione e di approfondimento: nel 1932 a Parigi, dove dipinge ed espone “DONNA CHE LEGGE”; nel 1934 a Roma presso lo studio del Maestro Giulio Bargellini, che la introduce nella tecnica dell’affresco e la incoraggia ulteriormente, riconoscendo in lei “una vera, autentica, acuta tempra d’artista”. (cfr. Archivio Socin – carteggio privato dell’artista)
Nei suoi periodici, ma brevi soggiorni a Bolzano Tullia Socin ebbe, ovviamente, consuetudine con i più noti e quotati artisti locali, quali gli scultori Piffrader e Gabloner, i pittori Stolz e Kienlechner, con i quali condivideva una grande ammirazione per ALBIN EGGER-LIENZ, il Maestro dell’espressionismo austriaco, consacrato allora anche dal 1° premio conseguito alla XIII edizione della Biennale d’Arte di Venezia e pochi anni dopo -nel 1926- scomparso nei pressi di Bolzano, ove si era stabilito. Nelle sue prime prove, infatti, l’artista “si esercitò per amore elettivo sul controllo linguistico di taluni stupendi testi pittorici locali, per giungere, nell’evolversi successivo della sua pittura, al sentimento dell’immagine e, soprattutto, del paesaggio, inteso come panico mistero”. (cfr. Archivio Socin – stralci da recensioni critiche d’epoca)
Terminata la sua prima esperienza formativa,dal 1933 fino a tutto il 1941, la pittrice si sentì pronta ad affrontare -sul campo- le sfide della cultura e dell’arte del tempo dentro il contesto socio-politico di un sistema, il quale, pur tendendo a convogliare le espressioni artistiche -soprattutto figurative- verso contenuti ideologici e/o celebrativi, non riuscì mai, tuttavia, a condizionare nell’artista la sua libertà di ispirazione, la sua visione totalizzante dell’arte: a costringerne -insomma- la creatività dentro i limiti della sterile ricerca di facili consensi, risalenti a motivazioni diverse da quelle riferite all’analisi accurata e severa del linguaggio artistico a lei congeniale.
Prova ne sia il fatto che, in tutta la produzione artistica di quel periodo (comprendente un’ottantina di tele), Tullia Socin -riferendosi ad esplicite richieste di altrettanti bandi di concorso- soltanto tre ne dedicasse alla tematica ideologica dominante: GIOVANI ITALIANE, LEGIONARIO FERITO, MEDAGLIA ALLA MEMORIA, attualmente presenti nella collezione lasciata dall’artista.
Densa e instancabile è, comunque, nel periodo, la partecipazione ai concorsi banditi e alle mostre collettive, organizzate non solo in sede locale, ma anche nazionale. Ovunque Tullia Socin consegue sia il consenso unanime della critica più qualificata, sia i premi più ambiti e prestigiosi, sia ancora le motivazioni esplicite e più che lusinghiere che ne hanno accompagnato l’assegnazione da parte delle relative giurie, come quella operante alla Spezia per le varie edizioni del “PREMIO DEL GOLFO”, composta dai Maestri Carlo Carrà, Felice Casorati, Renato Guttuso, nonchè dai critici d’arte Marco Valsecchi, Ubaldo Formentini, Carlo Ragghianti, che la presiedeva.
L’anno 1941 segna per Tullia Socin l’inizio di un periodo di “silenzio pubblico”, dovuto alla tragedia europea del secondo conflitto mondiale, che l’ha vista sfollata prima a Castelrotto nei pressi di Bolzano, poi -con la famiglia- nella casa d’origine materna in Val di Non. Questo silenzio si protrae fino al termine del conflitto (1945) e rappresenta per l’artista occasione di ulteriore riflessione e di conseguente approfondimento, veramente preziosi per l’evolversi della sua creatività, i cui frutti -per così dire- esplodono nelle opere successive in evoluzione stilistica e strutturale incessante.
Si tratta di opere, in cui “la sensibilità cromatica si affina, in cui il linguaggio pittorico acquista un tratto premonitore sempre più innovativo e personale. La sua tavolozza irradia luminosità e respiro a tutto campo, arricchendosi di tecniche via via più ardite e inusuali, sottolineate da preziosità materiche veramente suggestive”. ( cfr. Archivio Socin – stralci da recensioni critiche d’epoca ).
Nel corso degli anni Cinquanta le opere di Tullia Socin in un primo tempo tradiscono un fuggevole interesse verso i suggerimenti delle tendenze correnti di natura postcubista, progressivamente abbandonati per affrontare le fasi, a lei più congeniali, dell’abbandono di ogni tentazione meramente descrittiva, privilegiando -in modo sempre più esplicito- un dialogo essenziale, coerente e ininterrotto con la natura, sentita emotivamente in tutta la sua energia vitale: dalla pietra, al fossile, ai fremiti di ogni essere vivente, a ogni trasparenza vibrante, al cosmo e alle sue inesplorate meraviglie piene di mistero.
Questo dialogo appassionato, tuttavia, non approda mai a uno stato di rottura. L’evoluzione dell’artista “è sempre calibrata e controllatissima nelle proprie ricerche linguistico-espressive, animata, com’è, da un’incrollabile fede nella propria visione del mondo, retta da una coerenza assoluta, che potrebbe addirittura venire assunta a definizione morale”. E, si potrebbe aggiungere, senza soluzione di continuità: dai lontani esordi veneziani fino alla conclusione della sua vicenda artistica terrena. (cfr. Archivio Socin – recensioni critiche d’epoca). Il mondo interiore ed essenziale delle emozioni, in cui si muove l’artista, non si astrae mai dalle dimensioni dell’uomo, delle sue meraviglie, delle sue paure. Proprio per questo lo stile conclusivo della sua storia di artista sembra correttamente definito da Arnaud come “astrattismo umanistico”. (cfr. -Compendio degli artisti italiani contemporanei- Ed. La Ginestra – Arezzo)
Anche se, per la pittura di Tullia Socin, mi parrebbe più pertinente parlare di “astrazione” ben distante da ogni “ismo” di corrente. Nello stesso modo Tullia Socin è annoverata anche nell’ “Annuario degli Artisti” –
Roma 1961, oltre che in numerosissimi e prestigiosi cataloghi di mostre nazionali e internazionali, cui la pittrice fino ai suoi ultimi anni ( 1985 – 1995 ) è stata invitata, continuando a conseguire affermazioni e premi importanti insieme a unanimi consensi critici, come quelli di Marziano Bernardi ( la Stampa – Torino ) , di Marco Valsecchi ( Il Giorno – Milano ), di Mario Radice ( La Provincia – Como). Per non parlare delle altrettanto numerose mostre personali per lei organizzate a La Spezia, Ivrea, Torino , St. Vincent, Monaco di Baviera, Vienna , Bolzano.
Opere della pittrice si trovano alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, alla Galleria Civica di La Spezia, al Museo Civico di Bolzano, alla Cassa di Risparmio della Provincia di Bolzano e in numerose collezioni private a Bolzano, Milano, Torino, Vienna, Monaco di Baviera.
Il fecondissimo periodo creativo postbellico -fino a tutto il 1974- ha visto Tullia Socin trasferita a Torino insieme al marito, il Maestro scultore Enrico Carmassi, all’epoca altrettanto affermato nel panorama artistico della cultura italiana, il quale, da Spezia, era migrato in Piemonte in seguito alla distruzione e al saccheggio del suo studio di La Spezia durante il secondo conflitto mondiale.
Enrico Carmassi proveniva dalla tradizione ligure-toscana, che vedeva nella prestigiosa Accademia di Belle Arti di Carrara il suo punto di riferimento e aveva sposato Tullia Socin nel settembre del 1943.
L’unione di due personalità artistiche così spiccate si risolse in reciproco, profondo arricchimento, senza mai invadere la libera originalità creativa dei due protagonisti.
L’esperienza quotidiana di confronto artistico e culturale fra la pittrice e lo scultore portò Tullia Socin -in collaborazione col marito- a nutrire una viva curiosità di ricerca verso l’arte della ceramica, di cui studiò, sperimentò e, infine giunse a realizzare tecniche originalissime di smalti e patinature, inserendosi nel lavoro di modellato, operato dallo scultore, con cromatismi sorprendenti, studiati specificamente per ogni singolo pezzo: dal piccolo, prezioso soprammobile, ai grandi pannelli in rilievo e graffito e alle grandi composizioni scultoree complesse e monumentali.
Il risultato della felice collaborazione dei due artisti in questo campo portò a realizzazioni stupefacenti e inedite, che hanno riscosso la più grande ammirazione e il maggior consenso critico. Le opere monumentali eseguite su commissione e/o per concorso si trovano alla Spezia, al Banco di S.Paolo di Torino, nel giardino della villa Olivetti a Ivrea e altrove.
Gli ultimi anni dell’esistenza terrena di Tullia Socin furono funestati da prove particolarmente dolorose e dure. Prime fra tutte le morti dell’adorata madre (1974) e del marito (1975), avvenute a un solo anno di distanza l’una dall’altra, le quali la riportarono definitivamente a Bolzano, nella sua città natale.
Inoltre, particolarmente straziante per un pittore, una malattia agli occhi, che portò l’artista a un sensibile indebolimento della vista, della cui dolorosa realtà interiore sono testimoni quattro composizioni a tecnica mista -per così dire- autobiografiche, tre delle quali (Eclisse 1, Eclisse 2, Eclisse 3) veramente struggenti e la quarta, quasi un autoritratto dello spirito, il cui titolo “DETERMINAZIONE COMBINATA” rappresenta, da solo, tutto un programma, tutta la caparbia volontà dell’ artista, “determinata” – appunto – a reagire alla prova vittoriosamente, come, di fatto, avvenne.
Fino all’ultimo Tullia Socin ha testimoniato – dunque -il suo carattere forte e combattivo, financo pronto a gestire a suo favore una menomazione, del tutto incapace di oscurare la luminosità e la gamma cromatica rarefatta di una tavolozza, che l’artista gelosamente continuava a custodire nel profondo, oltre i suoi occhi stanchi, i quali, ripiegandosi sulla sua anima, serenamente si chiusero, spegnendone la vita, il mattino del 20 gennaio 1995.
Un’esistenza come quella di Tullia Socin, capace di trasmettere – attraverso la sua arte – un messaggio tanto importante nel contesto delle vicende della cosiddetta “grande Storia” del secolo appena concluso, non può essere dimenticata e neppure consumarsi nel privato. Essa appartiene al mondo e perciò sono decisa a consegnarla -come merita- alla storia del Novecento italiano con le sue luci e le sue ombre, le sue sterili esaltazioni di ogni provenienza ideologica e le sue tragedie ovunque consumate. Nessuno più di un artista può esserne, infatti, testimone credibile e informatore profetico per le nuove generazioni.
Bolzano, giugno 2008
Maria Pia Socin
TULLIA SOCIN IN E. ARNAUD, A. BUSIGNANI, ARTISTI ITALIANI CONTEMPORANEI, 1961
Tullia Socin e nata a Bolzano. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia trascorrendo quindi un lungo periodo di lavoro a Parigi e Roma.
Ha partecipato a varie mostre nazionali, ottenendo premi a La Spezia, alla Mostra Nazionale delle Pittrici di Napoli, all’analoga mostra di Bohallo, ecc.
Sue opere si trovano in varie collezioni pubbliche e private, tra cui le gallerie di La Spezia e di Bolzano.
L’opera di Tullia Socin e pervenuta all’astrattismo da un graduale abbandono di ogni fatto descrittivo, nell’intento di cogliere attraverso un ritmo sentimentale la sostanza più autentica della sua emozione naturale e umana.
Proprio per questo si e potuto scrivere che l’immagine della Socin non risulta astratta dalla dimensione dell’uomo, nè privata della vitalità dell’emozione. Oltre le forme, i colori, i ritmi, rintracciabili sono i dati naturali che l’emozione ha promosso. I paesaggi dell’anima di Tullia Socin.
A questo proposito e stato giustamente osservato che l’approdo astratto non e stato per Tullia Socin un approdo di rottura ma evoluzione calibrata e controllatissima delle proprie ricerche linguistiche, un’evoluzione, a ben badare, che sempre ha implicato la sua fedeltà a una propria visione del mondo, a un rapporto uomo-natura, dal quale anzi l’evoluzione e stata precisamente condizionata, dalle prime prove ad oggi, in cui l’immagine si afferma nel segno di uno stile.
Per questi motivi vorremmo definire l’astrattismo della Socin una astrattismo umanistico.
in E. Arnaud, A. Busignani, Artisti Italiani Contemporanei, Casa Eitrice la Ginestra, Arezzo 1961.
Maria Pia Socin, Il Novecento Italiano e la pittura di Tullia Socin
Singolare destino di persona e di artista quello di mia sorella Tullia Socin, destino che la vede nascere a Bolzano nel 1907, contemporaneamente all’erompere fervido e tumultuoso delle avanguardie culturali e artistiche, le quali – in Europa come in Italia – fin dagli albori del Novecento ne caratterizzano storicamente la funzione straordinariamente creativa e innovatrice.
Quando – nel 1909 – F. T. Marinetti pubblica a Parigi su “Le Figaro” il suo “Manifesto del Futurismo” e Prezzolini – Papini – Soffici manifestano il fervore innovativo incombente su “La Voce” e “Lacerba”, mia sorella Tullia ha appena compiuto due anni.
La spinta rivoluzionaria e – per così dire – profetica di queste avanguardie, che avrebbero sovvertito il linguaggio della letteratura e dell’arte a venire, investe tutte le espressioni artistiche della prima metà del secolo: dalla poesia alla pittura e alla scultura, dal teatro alla scenografia, dall’architettura alla musica, alla nuova arte del cinema; investe dunque – ante litteram – non un singolo settore ma la “globalità” degli eventi che sono chiamati in causa dagli artisti a interpretare una società in pieno sviluppo.
Dal 1907, anno della sua nascita, al 1950 – 70, ventennio della piena maturità artistica e personale, fin dalla prima adolescenza mia sorella Tullia – senza soluzioni di continuità – è stata costretta – talora anche in modo conflittuale – a confrontare il suo vissuto quotidiano e artistico con le concomitanti vicende culturali, nonché con quelle – fallimentari – della “grande storia” della prima metà del Novecento: dalle esaltazioni dei totalitarismi imperanti alla tragedia della seconda guerra mondiale con le sue inumane e sconvolgenti conseguenze.
Non meno importanti – nel privato – le morti premature di due fratelli (Mario 1918 – Livio 1921), drammaticamente sentite da Tullia adolescente. Poco più di un anno dopo – nel 1923 – nasceva l’autrice della presente riflessione, “La Sorellina” Maria Pia, di cui Tullia divenne madrina di battesimo insieme all’unico fratello rimastole: Bruno.
In tale contesto anche il mio personale percorso formativo storico-umanistico si è articolato in un clima culturale, che, in famiglia, si esprimeva in modo vivacissimo, aperto a tutte le sollecitazioni dello spirito con particolare interesse verso la produzione dei suoni e delle loro infinite variabili espressive per parte di padre, nonché verso le suggestioni del colore, della natura, come di ogni forma d’arte e/o di vita per parte materna.
Tutto questo ha determinato – come tuttora determina – anche la “singolarità” del mio personale destino, che, fin dall’infanzia – (anni trenta) – e per oltre un decennio – (1944 matrimonio di Tullia con il grande scultore Enrico Carmassi e trasferimento della coppia a Torino) – mi ha, per così dire, chiamata a condividere con la famiglia – registrandole puntualmente – tutte le tappe dell’esperienza artistica di Tullia: aspirazioni, vicende, successi, riflessioni, approfondimenti personali, rapporti di reciproca stima e considerazione con alcuni Maestri e/o protagonisti della cultura del secolo, fra cui Virgilio Guidi, che la ebbe allieva all’Accademia di Venezia, Giulio Bargellini, che la introdusse nella tecnica dell’affresco; Gino Severini, membro della giuria che assegnò a Tullia il I° premio pittura per l’opera “Le Modelle”, esposta a Napoli nel 1937; F.T. Marinetti, presidente della giuria che assegnò a Tullia la medaglia d’argento per le opere esposte a La Spezia nel 1934; e ancora Fillia, Prampolini, Ugo Ojetti, Casorati ed altri. Per non parlare dell’ovvia consuetudine con i colleghi, che in sede provinciale e regionale atesino-tirolese condividevano autorevolmente con Tullia la presenza artistica alle biennali locali, trasferite anche in territorio interregionale: Kienlechner, Regele, Piffrader, Gabloner, Delago, Casalini, Bonacina, Pancheri, De Pero.
Non di rado sono stata anche testimone pressoché oculare dell’esecuzione, della collocazione, dei risultati di alcune sue opere più note e/o meno note (alcune addirittura ancora inedite), di cui sono oggi vigile custode.
Pur non presumendo, certo, di essere critico d’arte, alla luce della mia esperienza culturale sostenuta dalla lucidità dei ricordi e dall’ampia documentazione in mio possesso, tutto ciò mi consente di tentare una riflessione sul percorso artistico di Tullia Socin, prendendo in esame il messaggio e la pittura del complesso delle sue opere in stretta correlazione con la successione cronologica della loro esecuzione.
Tullia Socin comincia a esprimere compiutamente la sua creatività negli anni Trenta, quando la prima stagione pittorica del futurismo può dirsi conclusa con la fine della I° guerra mondiale, la prematura morte, nel 1916, di uno dei suoi alfieri, Umberto Boccioni, l’allontanamento verso altre esperienze di Carrà, Severini e altri (pittura metafisica, cubismo ecc.).
Si apre così un’altra fase, per cui, sembra lecito parlare al plurale di “futurismi”, i quali, imboccando varie direzioni, vedono attenuarsi o modificarsi lo slancio e l’ideologia, che, ad inizio secolo, avevano sorretto il primo esplodere del movimento.
Tullia Socin, pur condividendo con i giovani artisti dell’epoca il persistere dell’esigenza di un continuo, dinamico rinnovamento del linguaggio artistico, vuole però darle espressione in un impianto compositivo e strutturale non dimentico della grande tradizione pittorica. “Donna che legge”, “Sogni di madre”, “Il piccolo ascaro”, “Conversazione” sono tele, in cui chiaramente emergono «abilità disegnativa, senso e limite del colore, stile, raffinato buon gusto».
Ma sono anche gli anni in cui Tullia Socin sembra prediligere una sorta di “nuova oggettività” fredda e distaccata (“Ritratto della madre” – “Contadino Tirolese” – “Giovani Italiane” – “Il legionario ferito” – “Medaglia alla memoria” – “Pallacanestro”), prendendo le distanze da ogni forma di coinvolgimento settario sia sul piano culturale, che, ancor più, su quello ideologico-politico.
Per altro verso, negli stessi anni, la ricerca della pittrice non esclude l’analisi puntuale dell’impressionismo, con particolare riguardo ai suoi favoriti Renoir e Cezanne. Ciò nondimeno nessun vincolo o freno di sudditanza sembra condizionare l’autonoma libertà sia strutturale che cromatica e stilistica della sua fantasia creativa. Con caparbia ricerca Tullia Socin arriva a costruire un “suo” personalissimo linguaggio espressivo, che si traduce in una pittura, per così dire, “d’atmosfera”.
Di dipinto in dipinto l’artista chiama l’osservatore attento a “partecipare” alla fugacità inafferrabile del sentimento espresso, senza indulgere al piacere retorico di una sua “illustrazione descrittiva”. Tullia Socin, insomma, ha compreso ed invita a comprendere, come il mero “racconto” non possa più interessare la pittura, la quale, invece, per rinnovarsi, impone il fremito sensitivo del dubbio, delle esitazioni, delle fiere resistenze; impone ancora una tormentata e tormentosa ricerca, che ignora volutamente ogni compiacenza commerciale ed ogni equivoco, «in cui pure sono caduti tanti artisti di quegli stessi anni».
Nascono così, figure come “Donna in rosso”, “Maternità”, “Lo scolaro”, “Bagnante”, “Modelle”; paesaggi come: “Autunno a Tires”, “Mattino a Portovenere”, “La baia delle Grazie”, “Il molo di Lerici”; nature morte come “Natura morta con figura” ed altre.
Ma è Tullia Socin stessa, che può ancora far sentire la sua voce, per rivelare i moti della sua anima d’artista, con la medesima e disarmante spontaneità con cui ne ha reso partecipe la mamma in una lettera da Venezia, scritta il 26 giugno 1934, all’età di 27 anni. Eccola:
Ogni commento sembra veramente superfluo e, comunque, da parte mia, fuori luogo.
Comunque, da tutti i dipinti eseguiti da Tullia Socin nei primi quindici anni della sua attività (1930 – 1945) emerge chiaramente, come l’andamento della composizione – agli esordi «fresca e acerba» – col controllo dell’esperienza e della documentazione assidua vada, via via, acquistando un movimento sempre più solido e sicuro, costantemente aperto a nuove voci, verso le quali, con altrettanta pervicace, assidua costanza, l’artista si impegna a rivendicare orgogliosamente assoluta indipendenza di invenzione, di costruzione, di tavolozza tonale: in una parola di “stile”.
Tale atteggiamento si mantiene predominante anche nell’evolversi successivo della sua pittura, che viene a confrontarsi con i vari “ismi” imperanti, negli anni seguenti la fine della 2° guerra mondiale. Tullia Socin ne prende atto, ma non se ne fa mai coinvolgere con adesione acritica. La sua libera creatività rimane pura e lucidissima nella finalità tesa al vero essenziale. Ne è testimone – fra il 1947 ed il 1960 – un gruppo di opere particolarmente intense e “costruite”, cui da Palma Bucarelli , accanto ad una «seria ricerca di stile, in talune tele pienamente raggiunta», viene riconosciuto «un forte temperamento ed una aggiornata cultura artistica»: tanto da promuovere l’acquisto di una di esse per la Galleria Nazionale Romana, da lei diretta.
Cito, ad esempio, figure e composizioni come “Le ricamatrici”, “La ceramista”, “Le cicliste”, “L’altalena”, “Lo scultore”; paesaggi come: “Giardino verticale”, “Il castello sulla strada”, “Casa sotto il sole”, “Periferia”, “Sera sulla villa” ed altro.
Pur nella molteplice diversità delle “occasioni” oggetto di ispirazione, a mio parere, come nel giudizio di molti, in Tullia Socin è, quindi, sempre ravvisabile una stretta parentela tra opera ed opera: un fil rouge conduttore, che non si spezzerà mai nemmeno in tutto l’evolversi della produzione artistica successiva. Essa, infatti, solo apparentemente sembra allontanarsi dalla realtà “oggettiva”, per privilegiare, di fronte ad un occhio distratto, intuizione ed immaginazione e confondersi, quindi, con “cedimenti” di natura astratta.
Con indistruttibile coerenza Tullia Socin – invece – rimane fedele a un’ispirazione decisamente immutabile. Infatti, partendo da un figurativismo sempre più distaccato dal reale, Tullia è rimasta fedele, non alla mera realtà, ma al “vero” nel migliore senso della parola.
Nel merito, per Tullia mi sembrano altrettanto calzanti le parole che T. Eliot dedica a Luigi Pirandello quando lo definisce «scopritore del nocciolo della realtà al di là dell’involucro del realismo». Tullia ha, infatti, scrutato la vita intima delle cose, ne ha scoperto le vibrazioni segrete, le particolarità ritmiche, i misteriosi rapporti cromatici. La sua scoperta pittorica è diventata “LA VITA”, che palpita in ogni angolo della creazione. La vita non è inerte e perciò non esiste inerzia nelle ultime opere di Tullia Socin: tutto è fluido, tutto scorre. Anche la materia, apparentemente immobile, è percorsa da fremiti di vitalità. Così una roccia non è un inerte composto di elementi chimici, ma una forma viva, che può sprigionare una forza e un dinamismo, che l’artista deve saper interpretare. I titoli stessi dei quadri palesano gli intenti della pittrice: “Pianure e ramificazioni”, “Aperta sul muro”, “Movimenti in grigio”, “Natura viva”, “La Traccia”, “Segno primitivo”, “Ragnatela sulla roccia”, “La pietra”, “Fossile”, “Irruenza”, “Il vortice”, “Controluce”, “Folto verticale”, etc..
Nell’ultimo scorcio del Novecento in Tullia Socin non manca anche la propensione per i mondi siderali, avvicinati all’umanità dalle avventure spaziali. Di quella proiezione verso gli astri e verso il movimento vitale che può agitarsi in essi Tullia Socin offre saggi significativi in opere come “Paesaggio lunare”, “Vegetazione astrale”, “Cerchio chiuso nel cosmo”, “La cometa”, “Immagine astrale”, “Movimenti nello spazio”, “Voci nell’universo” e, per concludere, la grande “Roteazione solare”, vincitrice nel 1970 della medaglia d’oro alla mostra, che la storica “Società Promotrice delle Belle arti”, fondata a Torino nel 1842, organizza con cadenza ricorrente nel capoluogo piemontese e il cui invito (esteso a Tullia per esporre, addirittura, in otto metri di parete) ha contribuito spesso a determinare la carriera e l’autorevolezza di gran parte dei Maestri dell’Ottocento e del Novecento.
In questa ultima fase della sua esperienza artistica, ritengo, che per Tullia Socin non di astrattismo si dovrebbe, dunque, parlare, bensì di “astrazione” dalla realtà, che è tutta altra cosa.
Del resto, anche tutta l’arte figurativa – ivi compresi gli esordi e la maturazione di Tullia – è, di fatto, astrazione, in quanto interpretazione soggettiva della realtà.
Perciò sono convinta che la continua ricerca dell’essenziale, peculiare in tutte le opere di Tullia Socin, non debba affatto essere considerata in funzione del molto frequente simbolismo dell’arte contemporanea, bensì rappresenti una sintesi di argomenti, espressi in un linguaggio pittorico, che da un lato certamente dimostra un efficace dominio della materia, dall’altro proclama, altrettanto vigorosamente, l’assenza di ogni antinomia fra spirito e materia, nonché l’irripetibilità di fatti e momenti particolari, dall’artista lucidamente percepiti. Tullia continua ad intraprendere con l’osservatore un vero colloquio, sempre disponibile verso chiunque voglia veramente parteciparvi.
Credo che Tullia nella sua pittura abbia incessantemente cercato e – forse – talvolta anche trovato, una risposta soprattutto a se stessa, riportando una sensibile vittoria contro la parte meccanica della vita: ciò che, come più volte è stato detto e pubblicato, non soltanto ha fatto di lei una vera artista “moderna”; ne ha anche decretato la “contemporaneità” con ogni età tormentata da sconvolgenti interrogativi irrisolti, come è prerogativa di ogni “vera” arte: contemporaneità, che ritengo sia particolarmente applicabile all’oggi, che stiamo vivendo, di cui Tullia Socin, con intuizione veramente profetica, ha dato testimonianza struggente.
Maria Pia Socin
Fonti di consultazione:
1) epistolario di Tullia Socin;
2) documentazione illustrativa della carriera dall’archivio dell’artista:
a. titoli, motivazioni di riconoscimenti, premi e segnalazioni;
b. recensioni critiche su stampa quotidiana e periodica regionale, nazionale e estera dal 1931 al 1994;
c. cataloghi di partecipazione a mostre regionali, nazionali e internazionali dal 1934 al 1994;
d. carteggio privato e pubblico con enti e gallerie;
3) Giorgia Capurso: da “Le donne e il futurismo – Tullia Socin”, catalogo della Mostra “Futurismo”, realizzata nel 2006 da “Arte Oltre” a Latina, pag. 83.
Gabriele Simongini, Tullia Socin. Dal realismo introspettivo alla visione cosmica
DAL CATALOGO DELLA MOSTRA ANTOLOGICA
DI TULLIA SOCIN A SABAUDIA nel centenario
dalla nascita – 19 luglio – 16 agosto 2008
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Nota critica del curatore Gabriele Simongini
docente di storia dell’ arte moderna e
contemporanea all’ Accademia di Belle Arti – Roma
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TULLIA SOCIN
dal realismo introspettivo alla visione cosmica
Sempre di più nel mondo odierno, afflitto da una vorticosa velocità degli scambi sociali e psicologici che porta irrevocabilmente verso il deserto dell’ oblio, una missione di vitale importanza sembra affidata a quei custodi della memoria che con la loro attività meritoria rallentano l’ attuale accelerazione senza senso della nostra epoca e cercano di destare un’ attenzione riflessiva su figure degne di nota della nostra storia culturale ed artistica che altrimenti resterebbero completamente dimenticate. In questo caso, si deve all’ amore puntiglioso di Maria Pia Socin la riscoperta e la difesa appassionata del percorso creativo di sua sorella Tullia Socin, artista dalla spiccata personalità che si è conquistata parecchi riconoscimenti critici ed istituzionali in vita per poi essere avvolta nel silenzio.E merita quindi un plauso l’ iniziativa di Francesca D’ Oriano e dell’ amministrazione comunale di Sabaudia di dedicare alla bolzanina Socin questa pregevole mostra.
Quel che colpisce nel lungo ed inesausto itinerario creativo di Tullia Socin è la ferrea determinazione a coltivare il proprio sogno artistico cercando sempre di muoversi con oscillazione pendolare fra elementi opposti per trarne le qualità positive e poterle poi conciliare attraverso le superiori ragioni della forma. Ma, come le aveva insegnato il suo maestro Virgilio Guidi all’ Accademia di Venezia, questa cristallina coscienza formale si deve sempre congiungere ad un senso di umanità profonda e di verità vitale: un impegno etico a cui Tullia Socin terrà infatti fede per tutta la sua esistenza e lungo il suo intero percorso, in diverse modulazioni. E certo l’ artista di Bolzano ha potuto ben condividere quanto scriveva Guidi del 1935:
” Al nostro tempo s’ addicono molto più chiarezza plastica e semplicità umana; così credo pure che esso non meriti la rappresentazione dei suoi grandi fatti nel modo illustrativo e non nella loro profonda verità”.
( cfr. V. Guidi – Testo nel catalogo della II Quadriennale d’ arte Nazionale,
Roma, Palazzo delle Esposizioni, febbraio – luglio 1935, p.129 )
Tullia Socin è nata ed ha ricevuto la prima educazione in quella Bolzano austro-ungarica che alla fine del 1918 è stata annessa al nostro paese, diventando italiana dal punto di vista politico ma non certo sotto l’ aspetto culturale e sociale. Insomma, una Bolzano come città di frontiera, in cui dovevano dialogare, magari anche scontrandosi, due culture molto distanti l’ una dall’ altra.
Ebbene, Tullia Socin si è dimostrata fin da giovane desiderosa di mettere a confronto direttamente, tramite la propria esperienza, diversi linguaggi pittorici, anche grazie a viaggi e spostamenti favoriti con lungimiranza dai suoi genitori e certo non troppo consueti per una giovane donna nella prima metà del secolo scorso. Inoltre l’ artista di Bolzano ha saputo sempre conservare gelosamente le proprie radici e la propria identità aprendole però ad un respiro nazionale ed anche internazionale.
Senza dubbio è stato fondamentale il suo percorso formativo alla ” Regia Accademia delle Belle Arti di Venezia ” dove si diploma nel 1932 dopo aver frequentato per quattro anni il corso di Virgilio Guidi.
Oltre all’ identificazione fra senso della forma e verità di vita comunicatale da Guidi, la giovane Socin dovette appassionarsi sicuramente al nucleo fondamentale della ricerca del suo maestro: la luce.
A tal proposito scriveva ancora Guidi, dopo essere arrivato a Venezia nel 1927: “Nel Veneto il sentimento della luce ricomincia un nuovo cammino dalla fisicità all’ idea. Infatti non fu la pittura veneta a muovere il mio immediato interesse, ma l’ atmosfera limpida fosforescente morbidissima forse così a me non veneto. (…..) Senza la luce il colore e la forma non hanno alcuna verità. Tutto il sospetto che in quegli anni ispirava la parola luce era dato dalla concezione fisica della luce da quella che si può dire luce atmosferica che non è luce e che è veramente dissolvitrice di corpi. Tutte le reazioni all’ impressionismo hanno negato la luce credendo che quella
dell’ impressionismo fosse luce mentre è chiaro”.
( cfr. V: Guidi, Pittura d’ Oggi, collezione del Vieusseux editore, Firenze 1954, pagg. 85-109 )
E così, sulle orme di Guidi, la Socin impara a diffidare di una luminosità solo fisica e naturalistica per cercarne una mentale. Alcune sue opere distese fra gli anni Venti e l’ inizio dei Trenta come LA SORELLINA (1929), AUTORITRATTO (1930), SOGNI DI MADRE (1932), rivelano, nella netta bipartizione dei volti tramite la contrapposizione dialogante fra luce ed ombra, un’ evidente riflessione sulla pittura di Guidi.
Tra l’ altro, detto per inciso, c’ è un ritratto di donna da lui dipinto nel 1931 ( olio su tavola cm. 76,5 x 63,5 – collezione privata ), che sembra rappresentare il volto della stessa Socin: il che, preso atto prima di tutto della chiara somiglianza, pare assai probabile se si considera la data, coincidente con gli anni comuni trascorsi all’ Accademia, e anche la collocazione dell’ opera (Venezia).
E in questo stesso periodo pure per le sue figure perse nei loro pensieri, sole, meditabonde la Socin sembra trovare un punto di riferimento fondamentale ancora nella pittura di Guidi. Ma mentre il suo maestro colloca i ritratti di questi anni in una dimensione sospesa che sembra indirizzarsi verso una sorta di germinante geometrizzazione modulare dei volti, la Socin cerca con più evidenza una sia pur misurata introspezione psicologica che non ha alcuna volontà d’ astrazione: lo si vede bene in opere come lo stesso RITRATTO DEL MAESTRO VIRGILIO GUIDI, BAMBINA IN BLU (1934), VIOLETTA (1935). Ne viene fuori un mondo austero, riservato, fondato su sani principi etici e attraversato anche da una certa malinconia.
Non appena finita l’ Accademia, nel 1932, Tullia Socin compie un importante viaggio d’ aggiornamento a Parigi, dove dipinge ed espone un quadro raffinato e tecnicamente mirabile come DONNA CHE LEGGE, vicino per certi aspetti al clima della Nuova Oggettività ma senza esasperazioni ed asprezze formali. Probabilmente nella Ville Lumière l’ artista bolzanina rimane colpita soprattutto dall’ inquieto neoclassicismo di André Derain, parallelo a quello dei maestri italiani del novecentismo.
Due anni dopo, nel 1934, la Socin è a Roma, nello studio di Giulio Bargellini, che la avvicina alla tecnica dell’ affresco apprezzandone la determinata e spiccata vena artistica. Ed un’ opera rilevante della Socin come RAGAZZA IN ROSSO (1935) sembra appunto concepita con l’ integrità e la compattezza materica di un affresco. Nè va dimenticato, per completare il quadro dell’ artista bolzanina, il suo interesse per la pittura di significativi maestri locali come Albin Egger Lienz (scomparso nel 1926) o come il trentino Gino Pancheri con il quale condivide l’ idea di un sicuro realismo che mai sia puro e semplice naturalismo. A proposito di Pancheri notava infatti Giulio Carlo Argan nel 1942: ” Questo colore immemore della sua genesi naturalistica, altro non è che la condizione stessa del franco realismo di Pancheri: tanto più umano quanto meno naturalistico “. (cfr. G.C.Argan, Gino Pancheri, catalogo della mostra, Torino, 14-24 febbraio 1942)
Così alcune opere della Socin come BAGNANTE (1935) e LO SCOLARO (1936) sono quasi sulla stessa lunghezza d’ onda dell’ ESTATE (Bagnanti, tre ragazze sulla spiaggia) del 1937, o di CAFFE’ DI PROVINCIA (1938) dello stesso Pancheri, con il quale si può ipotizzare un reciproco scambio d’ esperienze, essendo i due artisti pressochè coetanei ( l’ uno nato nel 1905, l’ altra nel 1907). Per le nature morte di Pancheri, inoltre, Argan ha parlato di un colore disintegrato in un “divisionismo puramente mentale”. E non a caso dalla seconda metà degli anni Trenta fa la sua comparsa nelle opere della Socin una sorta di personale e vibrante divisione coloristica che innerva di vitalità le sue composizioni peraltro spesso popolate di rimandi alla pittura quattrocentesca, in opere come GIOVANI ITALIANE (1937), LEGIONARIO (1938), LAVANDAIA (1939), GIOCATRICI DI PALLACANESTRO (1940).
Parallelamente al completamento della propria formazione Tullia Socin avvia anche un’ intensa attività espositiva, debuttando alle Mostre Sindacali (che erano comunque, al di là di ogni giudizio ideologico, utilissime occasioni di incontro e di confronto pubblico fra artisti oltre che di capillare censimento creativo, ) promosse dal Sindacato Fascista delle Belle Arti. Nel 1928, 1929, 1930 partecipa alla Sindacale di Venezia e a quella di Trieste. Inoltre la Socin prende parte a quasi tutte le edizioni delle Sindacali di Trento e Bolzano fra il 1930 e il 1942 e viene invitata a molte Esposizioni interregionali e nazionali, ricevendo vari premi e conquistando l’ attenzione della critica nonchè l’ apprezzamento di molti illustri colleghi presenti nelle giurie ( fra gli altri Gino Severini, Carlo Crrà, Felice Casorati, Renato Guttuso ). In questo contesto Tullia Socin cerca sempre di tenersi lontana da stringenti costrizioni ideologiche e solo quando non ne può proprio fare a meno, su esplicita e cogente richiesta del bando di concorso, accetta di misurarsi con i temi allora dominanti. E ciò accade in realtà solo in tre occasioni, con le opere GIOVANI ITALIANE (1937), LEGIONARIO FERITO (1938), MEDAGLIA ALLA MEMORIA (1939), peraltro tutte connotate da una sobria discrezione compositiva e da un rigoroso controllo formale che non cedono mai troppo alle fanfare della retorica.
La tragedia bellica e tutta una serie di spostamenti obbligati e di difficoltà comuni a tanti altri artisti interrompono l’ attività espositiva pubblica della Socin e ne rallentano la produzione creativa.
Però tutto ciò giova anche alla sua maturazione interiore, all’ emersione di nuove istanze ed esigenze che troveranno un importante elemento catalizzatore nel rapporto di lavoro e d’ amore instauratosi con un artista come lo scultore spezzino Enrico Carmassi conosciuto nel 1933 a La Spezia e sposato nel 1944 a Bolzano.
Dalla metà degli anni Quaranta il marito coinvolge Tullia nella realizzazione a quattro mani delle sue sculture e dei suoi bassorilievi in ceramica: Carmassi plasma le forme mentre la Socin le patina e ne studia la veste cromatica. A questo proposito, nella mostra di Sabaudia sono esposte 14 opere realizzate in coppia dai due artisti. E per la Socin questo impegno ha costituito una sorta di laboratorio in cui ripensare tutta la propria arte, soprattutto nel senso di un rafforzamento del colore che s’ accende e quasi s’ infuoca misurandosi in particolare con l’ emergenza materica. Sia l’ esperienza tecnica con l’ affresco (accanto a Bargellini) che quella con la ceramica trasmettono all’ artista di Bolzano un senso costruttivo e strutturale del colore, che si fa tutt’ uno col supporto per perdere qualsiasi valore puramente di superficie.
Non va d’ altro canto trascurato il fatto che i due artisti appena sposati si trasferiscono a Torino (poi si sposteranno nella cittadina piemontese di Castellamonte e dal 1958 torneranno nel capoluogo piemontese )dove hanno modo di conoscere le opere degli artisti del Gruppo dei Sei ( Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Carlo Levi, Enrico Paulucci e Jessie Boswell ), dense di rapporti con la pittura fauve e in particolare con Matisse e Derain, oltre a quelle di un artista fondamentale come Luigi Spazzapan tuttora ingiustamente sottovalutato.
Fin dalla metà degli anni Venti nelle opere inquiete e guizzanti dell’ artista di Gradisca d’ Isonzo confluiscono multiformi esperienze culturali ( cubismo, futurismo, espressionismo tedesco, influssi fauve ) mentre dal 1953 la sua sperimentazione si avvicina con una certa precocità di date alla temperie dell’ informale, ma in modi assai personali, magmaticamente lirici e visionari, fondati su baluginanti fuochi d’ artificio cromatici che diventano metafore di esplosioni cosmiche e di un’ inquietudine che dal suo animo si trasmette a tutto il mondo come una scossa elettrica, notturna e infuocata.
Se a tutto questo si aggiunge la visione di un mondo totalmente cambiato dalla catastrofe bellica e dalla sconvolgente rivelazione nucleare, è evidente che un’ artista sensibile come la Socin non poteva fare a meno di registrare tali istanze sperimentando decisamente un’ altra e rinnovata via. Così, dalla seconda metà degli anni Quaranta, si misura con la koinè europea del neocubismo sfuggendo però a qualsiasi rigido schematismo grafico e dando libero campo alle nuove accensioni cromatiche. E’ evidente – le opere stesse lo dimostrano – che in questi anni la Socin è pienamente al corrente delle novità portate dagli artisti del Fronte Nuovo delle Arti e da quelli di Forma 1, oltre che aggiornata sull’ aspro dibattito che inizia a contrapporre astrattisti e realisti. Ecco allora nascere quadri in cui il contrappunto quasi musicale dei piani colorati ha la meglio
sull’ evidenza plastica e volumetrica, opere come TESTA DI DONNA (1947),
CASE SOTTO IL SOLE (1950), ALTALENA (1952), CICLISTE (1952),
l’ immaginifico UOMO ALLA FINESTRA (1953), immerso in uno spazio caleidoscopico, e via discorrendo.
A cavallo fra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, la Socin, riflettendo attentamente sulla lezione di Spazzapan (esemplificata da capolavori come ROSSO DOMINANTE del 1955, TORNADO DEL 1956, SPRAZZI DI LUCE NEL COSMO del 1957), sembra anche condividere in cifre pienamente personali quell’ idea di informale come estrema immersione nella natura teorizzata da Francesco Arcangeli. Nelle ricerche informali gli artisti cercano infatti una diversa identità dello spazio che non è più il contenitore della rappresentazione, il vuoto contrapposto al pieno, ma il luogo dell’ esistenza creativa in atto, non data a priori, vissuta fenomenicamente nella prassi e nell’ emozione diretta volta all’ archetipo.
Nasce così uno spazio vitale, dinamicamente “organico”, che cresce su se stesso obbedendo alle sole “leggi” della necessità interiore e spirituale, in senso laico. Si entra dentro la materia, in una sorta di cammino parallelo a quello della scienza, ma completamente autonomo da esso. E si attua in tal modo una sorta di tabula rasa che unisce “origine” e avvenire nel divenire fenomenico dell’ opera concepita come correlativo oggettivo del fatto esistenziale.
Così nella pittura della Socin materia e colore diventano tutt’ uno, si fanno metamorfici e visionari, danno immagine ad un rapporto empatico ma non pacifico fra il microcosmo interiore dell’ artista e il macrocosmo naturale ( minerale, vegetale, animale ma anche planetario), nelle cui più segrete strutture l’ artista bolzanina sembra volersi addentrare.
Lo si vede bene nella bellissima serie di nove tecniche miste distese fra il 1966 e il 1973 ed in opere come la baluginante CONTROLUCE (1962), la notturna SINFONIA LUNARE (1968), il turbinoso VORTICE (1968), fino ai lavori in cui l’ artista prende possesso anche di materiali tratti dalla realtà esterna, come accade in VOCI NELL’ UNIVERSO
(1970) e ROTEAZIONE SOLARE (1970), tanto per citarne due fra i più efficaci.
Dalla concezione contemplativa, immobile e asceticamente realista degli anni Trenta – Quaranta Tullia Socin è ormai approdata alla libertà assoluta dell’ azione pittorica che si inabissa nelle profondità di una natura in perenne divenire, pullulante, vorticosa, ma sempre colma di guizzanti tracce ed impronte umane, da custodire con cura.
Gabriele Simongini
Testo nel catalogo della Mostra antologica “Tullia Socin”, Sabaudia Museo EMILIO GRECO , 19 luglio – 16 agosto 2008, pagg.15, 16, 17.